Le influenze precristiane nel mondo dolomitico

Om salvarek
 

Nel mondo antico il ritorno della primavera, il solstizio di estate ed in particolare quello di inverno, inteso come termine dell’anno, per l’uomo rappresentavano date fondamentali che la vita attuale ha in gran parte cancellato: attualmente solo il folclore riesce a salvare qualche elemento, inserendolo spesso nel momento di trasgressione del carnevale:
Nelle valli dolomitiche si conservano alcuni riti legati al rinnovamento della primavera: a Rivamonte Agordino (Bl) appare l’Om salvarek, l’uomo selvatico, diffusore di tecniche della lavorazione del latte e di altre attività utili all’uomo, personaggio ben diffuso in tutto il folclore alpino e centroeuropeo. Qui però si presenta nel suo aspetto più arcaico, come spirito vegetale della fertilità. Interamente rivestito di licopodio, una pianta strisciante, esce dal bosco portando un ramo di betulla, albero sacro legato alla fertilità, entra in paese e danza o tocca col ramo di betulla le donne giovani che gli danzano attorno, un gesto inteso come augurio di matrimonio e di figli, conservando ancor oggi un rito dalle origini pre romane. Molto diffusi nel carnevale dei Ladini delle Dolomiti sono i Matazìn (i “matti”), simbolo del ritorno della primavera e della vita. Il loro abito, completamente rinnovato ogni anno, è tradizionalmente composto di scialli e fazzoletti colorati appartenenti alle fanciulle da marito, il loro alto cappello, la mazza e spesso le scarpe sono adorni di fiori.
Essi aprono il carnevale, guidando spesso come in Comelico un corteo di maschere rappresentanti giovani; la loro danza è irregolare, come il vento di primavera ed è intervallata da salti: più alti saltano, più crescerà il grano nei campi, ricordano gli anziani. Normalmente accompagnati da aiutanti, i Lacchè, rivestiti anch’essi allo stesso modo, ma con colori meno sgargianti, offrono alla gente confetti, simbolo di fecondità e di nozze, visitano le case dei paesi ed in alcuni luoghi accompagnano al ballo di Carnevale le ragazze da marito, favorendo in questo modo nuovi legami sentimentali. Il loro costume variopinto e il loro compito di favorire le nozze appaiono ereditati dagli Arlecchini delle commedie goldoniane, ma la loro antica funzione si estendeva al rinnovamento di tutta la vita al ritorno della primavera. Un antico carnevale della val Zoldana, a Fornesighe, è dominato dalla Gnaga, una vecchia che nella gerla porta una bambina in fasce: accompagnata dalle antiche maschere ladine che scortano un corteo matrimoniale, percorre il paese e, alla fine del Carnevale verrà gettata giù dal campanile della chiesa. Il suo nome deriva dalla corruzione del latino anus, vecchia signora; col corteo che guida porta l’augurio di fertilità, ma, con la bambina nella gerla simboleggia l’anno vecchio che porta l’anno nuovo e con la sua successiva eliminazione subisce la stessa sorte della Vecchia che alla vigilia dell’Epifania è bruciata nei roghi della pianura veneta, riunendo nelle fiamme l’immagine dell’anno vecchio che se ne va e della Befana, l’antica dea della natura che al termine del ciclo annuale puniva o premiava, ormai condannata dal Cristianesimo agli abiti e all’aspetto di una vecchia strega.


I Matazin di Laste

La Gnaga

Rogo della Vecchia

 

 

Le influenze
precristiane nel
mondo dolomitico